La crudeltà in guanti bianchi - Paola Caridi

Povera Reyhaneh, uccisa per mano di uno Stato.
E con lei le meravigliose donne iraniane, che vivono, studiano, lavorano, soffrono e lottano.
Povera Reyhaneh, vittima di uno Stato. E doppiamente vittima. Perché le autorità iraniane, giudiziarie e politiche, l'hanno uccisa. E in Occidente c'è più di qualcuno che la sta usando, abusando e strumentalizzando...

Ultima vittima di una religione, si dice e scrive. L'ennesima riprova che l'Islam è una fede che si fonda sull'odio e sulla mortificazione delle donne, si ripete nella corrente montante dell'islamofobia 2.0.
Tanti anni fa Adriano Sofri parlò dell'igienizzazione della pena di morte, sull'iniezione letale nei bracci della morte statunitensi, su una rivista di Nessuno Tocchi Caino. Non ho mai dimenticato questa illuminante definizione. Noi in Occidente siamo così eleganti anche nella crudeltà. Usiamo i guanti, cioè usiamo i droni, le iniezioni letali. Ci teniamo a distanza anche quando ammazziamo le persone. Povera Reyhaneh, messa nel frullatore del noi sì che siamo buoni, e i musulmani son tutti terroristi crudeli, barbari e retrogradi. A meno che non siano nostri alleati, come i sauditi: la loro pena di morte è la decapitazione, come quella usata da Daesh, dall'Isis, ma c'è decapitazione e decapitazione. E se la fa un nostro alleato, come l'Arabia Saudita, allora è meglio tacere, ignorare, andare oltre, girarsi dall'altra parte. Tutto di fronte all'altare di una Realpolitik a cui manca, però, un pilastro fondamentale: la strategia.
Noi, dunque, siamo sempre un gradino sopra. Eleganti nella nostra crudeltà. Noi che usiamo persino il disinfettante quanto procuriamo la morte per mano dello Stato nei bracci della morte americani. Noi che ammazziamo un tanto al chilo con F16, droni, artiglieria pesante. Noi che umiliamo a Guantanamo e Abu Ghraib. Noi che abbiamo suppergiù un femminicidio al giorno. Povera e coraggiosissima Reyhaneh, si meriterebbe lacrime più empatiche. Meno ipocrite
Nel giorno in cui piangevamo il coraggio e la morte di Reyhaneh, al Cairo 24 ragazzi e ragazze sono stanti condannati a 3 anni di galera e 10mila pone egiziani di multa per aver manifestato. Per aver manifestato. Tra loro Sanaa Seif, la sorella di Alaa Abdel Fattah. Islamisti, laici, non importa. Quello che importa è mettere in galera una generazione che ha osato protestare e fare la rivoluzione. Ma a noi, qui, non interessa. Interessa piangere lacrime di coccodrillo per Reyhaneh, ignorare il vestito bianco da detenuta di Sanaa e delle sue sorelle, occultare con sapienza le bambine e le ragazze uccise a Gaza.
Well done, mio caro Occidente. Well done. Se continua così, mi toccherà scrivere un Arabi Invisibili Reloaded.

http://invisiblearabs.com


Articolo tratto da: MaanInsieme - http://maaninsieme.altervista.org/
Pubblicato Venerdi 31 Ottobre 2014 - 06:35 (letto 3082 volte)
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