La guerra e l'errore di combattere l'islam - Stefano Allievi

La scoperta che in Siria e in Iraq stanno combattendo - in una guerra particolarmente crudele - anche dei musulmani, convertiti e immigrati, provenienti dall'Europa, sta giustamente preoccupando l'opinione pubblica. Ma se l'intelligence reagisce con l'unica strategia sensata (aumentare i controlli e le strategie di prevenzione, ed elaborare strategie di lotta frontale anche in loco), la politica rischia di reagire, come già successo in passato, nell'unica maniera sbagliata e controproducente: quella della demonizzazione generalizzata dell'islam...

Un esempio è quanto sta avvenendo a proposito di moschee. Già si invoca la loro chiusura, e si riparla di leggi o di referendum, contro la loro apertura. Si tratta di un falso problema. Le moschee sono tra i luoghi più controllati d'Italia: i rapporti di collaborazione con le forze di polizia, carabinieri e Digos sono stretti, e sono attivi, attraverso informatori, i servizi segreti di vari paesi - italiani, ma anche dei paesi d'origine dei musulmani (egiziani, marocchini, tunisini), nonchè, come sappiamo da alcuni casi eclatanti di cui si è occupata la magistratura, anche la Cia. E gli imam sono spesso le persone che più hanno interesse ad evitare la presenza di teste calde all'interno dei luoghi di culto. Oltre tutto l'Italia è stata tra i paesi europei meno colpiti dalla violenza islamica. Il che significa che o la minaccia non è mai stata particolarmente forte, o le strategie di prevenzione - incluse alcune significative indagini di polizia e inchieste giudiziarie - sono state particolarmente efficaci, o probabilmente tutte e due le cose insieme.
In questa situazione, attuare una politica di scontro frontale con l'islam è un errore. Anche per i mezzi con cui si dice di volerlo fare. Se la legge è uguale per tutti, sarebbe un suicidio politico e otterrebbe risultati controproducenti operare violando i diritti di alcuni. Vale per le proposte di legge contro le moschee: semplicemente, sono anticostituzionali. Tanto è vero che un esponente di spicco della Lega, Cota, firmatario delle prima iniziativa parlamentare in tal senso, non solo non ha mai chiesto seriamente di metterla in discussione, ma una volta diventato governatore del Piemonte, e quindi con tutti i poteri del caso, non ha neanche fatto finta di proporne l'applicazione sul suo territorio. Lo stesso per le proposte di referendum preventivo: il principio base del diritto occidentale, violando il quale tutto l'edificio crolla, è che le maggioranze non hanno il potere di mettere in questione i diritti delle minoranze - ci mancherebbe! E stupisce che non solo politici, ma anche intellettuali e giornalisti non se ne accorgano, quando discettano di tali questioni. Altre forme di controllo ci sono: e sono tanto più efficaci quanto maggiore è la collaborazione e la fiducia reciproca. Le moschee non sono quindi un problema in sè, ma un pezzo della possibile soluzione: anche se vanno accompagnate nella loro evoluzione e controllate, nel reciproco interesse. L'illegalità prospera meglio in situazioni marginali o semi-clandestine, che non laddove tutto avviene alla luce del sole.
La minaccia del jihadismo esiste. Ed è tanto più pericolosa oggi che esiste un sedicente califfato: terra d'attrazione, per certe correnti islamiche, perché vigerebbe in esso l'applicazione integrale della sharia, la legge islamica. Non è così, naturalmente: e questa è una guerra innanzitutto interna al mondo islamico, che la stragrande maggioranza dei musulmani del mondo ha interesse a combattere e a vincere. Ma a cui l'occidente ha il dovere di collaborare, cercando di sconfiggere il neocaliffato sul suo stesso terreno, laddove è nato. E poi favorendo la collaborazione islamica nella denuncia dei suoi esiti, ma anche nel combattere le correnti culturali che ne sono all'origine - cosa su cui, sì, i musulmani dovrebbero fare di più, con meno timidezze. È la stessa modalità con cui l'occidente ha sconfitto il terrorismo rosso e nero: non demonizzando le idee e gli ideali da cui originavano, ma ottenendo la collaborazione di chi si ispirava agli stessi ideali, ma con mezzi diversi e rispettosi delle leggi. Così è oggi. La radicalizzazione si combatte favorendo i processi di integrazione: chiedendo quindi ai musulmani di aumentare la vigilanza e l'autocritica. Spingere verso la marginalizzazione di interi gruppi di persone innocue, rischia invece di favorire precisamente le evoluzioni cui a parole si sostiene di volersi opporre.

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Articolo tratto da: MaanInsieme - http://maaninsieme.altervista.org/
Pubblicato Martedi 30 Settembre 2014 - 06:42 (letto 3637 volte)
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