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societàAnche Oasis si unisce al grido di chi nel mondo chiede la liberazione di Meriam Yehia Ibrahim (nella foto), la donna di 27 anni, di religione cristiana, che l'11 maggio è stata condannata da un tribunale di primo grado del Sudan all'impiccagione per apostasia e a 100 frustate per adulterio...
Il reato di Meriam, madre di un bambino di 20 mesi e in attesa del suo secondo figlio, è dunque duplice: figlia di un musulmano, per lo Stato sudanese, le cui leggi si ispirano alla sharìa, è musulmana ed essendosi dichiarata cristiana, ha commesso apostasia. Inoltre il matrimonio che ha contratto con un cristiano è nullo e lei risulta adultera.
Il suo nome, il suo viso, la foto del suo matrimonio con lei splendida nell'abito di bianco, stanno facendo il giro del mondo, in modo virale, e suscitano la solidarietà di tutti coloro che non accettano che il diritto fondamentale della libertà religiosa venga conculcato.
Ma Meriam, suo malgrado, come le ragazze nigeriane rapite a scuola, come Asia Bibi, dimenticata in una prigione pakistana, sta prestando il suo volto alle tante, troppe, persone - soprattutto donne - che per la loro fede sono quotidianamente colpite da violenza o discriminazione, e non finiscono nel fascio di luce dei media globali.
Meriam commuove e muove ciascuno di noi a difendere, oltre ogni distanza geografica e culturale, la libertà religiosa. Ciascuno trovi nella propria tradizione le ragioni per farlo. Noi siamo convinti, come ha dichiarato il Card. Scola, che se la libertà religiosa non diviene libertà realizzata, posta a capo della scala dei diritti fondamentali, tutta la scala è destinata a crollare.
Vale per Khartoum, per Chibok, per il Punjab e per ogni luogo in cui qualcuno che è nostro fratello e nostra sorella paga un prezzo troppo alto sulla sua pelle solo per essere libero.
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