02 Nov
2013
Più repressione che riforme: il puzzle irrisolto del Marocco - Francesca Gnetti

Argomento: societacostume | 3143 | 0 | società

La formazione del nuovo governo marocchino, nominato dal re Mohammed VI il 10 ottobre, ha posto fine a 3 mesi di stallo politico. Ma è stata anche l’espressione dei fragili equilibri di una società in bilico, attraversata da correnti contrastanti: progresso e involuzione, inclinazioni monarchiche e democratiche, pulsioni verso il cambiamento e freni legati alla tradizione...

Le sfide che attendono l'esecutivo presieduto da Abdelilah Benkirane sono le stesse degli ultimi 2 anni e mezzo, da quando il re ha avviato uno stentato processo di riforme per evitare che il paese fosse contagiato dalla primavera araba.
Quando a febbraio del 2011 migliaia di persone si riversarono per le strade di Rabat, Casablanca e delle altre città del Marocco chiedendo maggiore democrazia e invocando migliori condizioni di vita, Mohammed VI, salito al trono nel 1999 dopo i 38 anni di regno del padre Hassan, indossò i panni del riformatore per scongiurare il caos e applicò una ricetta a base di repressione e aperture democratiche.
Nel corso di un discorso alla nazione, il re annunciò l'imminenza di un'importante riforma costituzionale che avrebbe previsto l'ampliamento delle libertà individuali e collettive e l'elezione di un primo ministro dotato di maggiori poteri e non più designato dal sovrano. Ma le promesse contenute nella nuova Costituzione - approvata a luglio del 2011 - sono rimaste in gran parte disattese, mentre si sono moltiplicati gli episodi di violenza nei confronti degli esponenti del movimento 20 febbraio, nato sulla scia delle rivolte in Tunisia e in Egitto e subito messo a tacere.
La coalizione uscita vittoriosa dalle urne a novembre del 2011, guidata dagli islamici moderati del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Pjd), non è stata in grado di attuare la sua agenda riformatrice, impantanandosi in lotte intestine e ostacolata dalle ingerenze monarchiche. Mentre la situazione economica si deteriora e la disoccupazione cresce, restano irrisolti i problemi endemici della società marocchina: il rispetto dei diritti umani, il welfare, la riorganizzazione delle politiche del lavoro, la tutela delle libertà individuali e la questione del Sahara occidentale.
A guidare la nuova fase politica marocchina sarà ancora il Pjd, con il primo ministro Benkirane. Il vuoto lasciato dagli ex alleati conservatori e nazionalisti del Partito Istiqlal, che a luglio si sono ritirati dalla coalizione di governo per protestare contro i tagli ai sussidi pubblici, è stato colmato dall'ingresso dei liberali dell'Unione nazionale degli indipendenti (Rni), vicini al monarca. Il prezzo da pagare per evitare nuove elezioni è stato la riduzione del potere degli islamici, con la cessione di alcune posizioni chiave nel governo, come il ministero degli Esteri, che è andato al leader dell'Rni, Salaheddine Mezouar. Per soddisfare i 4 partiti della coalizione, composta oltre che da Pjd e Rni dal Partito del progresso e del socialismo (Pps) e dal Movimento popolare (Mp), il numero dei ministeri è passato da 30 a 39. La presenza delle donne nel governo è aumentata da 1 a 6.
Esce dal rimpasto quindi una coalizione bifronte, spaccata fra una corrente legata all'islam politico e un'altra vicina alla monarchia che, molto probabilmente, cercherà di frenare le spinte riformiste del Pjd. Inoltre, il contesto regionale contribuisce a destabilizzare il precario equilibrio politico marocchino: i 2 partiti maggiori si sono infatti già trovati su posizioni contrastanti quando il re, nello scorso luglio, si è schierato a favore del colpo di Stato che ha rovesciato il presidente egiziano Mohamed Morsi (che aveva ricevuto il sostegno degli islamici del Pjd).
Pur sostenendo ufficiosamente Morsi, il timore che le ripercussioni del caos egiziano minassero il fragile assetto politico ha spinto il Pjd a mantenere il basso profilo nei confronti della Fratellanza Musulmana. Alla posizione di neutralità ufficialmente assunta nel governo, il Pjd ha affiancato un atteggiamento volto a sottolineare le differenze esistenti con gli islamisti egiziani, lasciando che fosse l'ala giovanile del partito a condannare apertamente il colpo di Stato del Cairo.
Per evitare di incappare in uno scenario analogo a quello del Cairo, i partiti oggi al governo dovrebbero unire le proprie forze per risolvere i problemi del Marocco, a partire dalla mancanza di lavoro: anche se il tasso di disoccupazione è ufficialmente al 9%, per i laureati questo valore raddoppia e tocca picchi del 30% per i giovani sotto i 34 anni.
Il Pjd ha pagato a caro prezzo le impopolari riforme economiche che ha dovuto introdurre. Come gli altri partiti islamici saliti al potere in Egitto e in Tunisia dopo le rivolte, si è mostrato inizialmente molto riluttante a ridurre i sussidi e la spesa pubblica, poiché simili misure avrebbero infranto l'immagine - costruita durante la campagna elettorale - di uno schieramento vicino ai bisogni della popolazione. Ma a fronte di un deficit di bilancio pari al 7,5%, e messo sotto pressione dai creditori internazionali (Fondo monetario internazionale in testa), il governo si è visto costretto ad approvare tagli agli stipendi e ai sussidi per i beni alimentari e il carburante.
In particolare, a settembre è stato reintrodotto un controverso sistema di indicizzazione del prezzo del carburante, già attivo nella seconda metà degli anni Novanta e poi abbandonato a causa dell'incontrollato aumento dei costi. Legando i prezzi di benzina, diesel e dei combustibili a quelli sul mercato globale, con revisioni mensili del loro valore, il governo spera di limitare l'impatto delle loro fluttuazioni sulle malandate finanze pubbliche. La decisione, però, ha scatenato nuove proteste da parte della popolazione, preoccupata che il sistema possa portare a un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, a una riduzione delle opportunità di lavoro e alla contrazione della domanda interna.
I timori per la situazione economica si sono intrecciati con la delusione di parte della popolazione per gli scarsi progressi in materia di diritti civili. Il malcontento ha riattizzato il dissenso per le promesse non mantenute di Mohammed VI: ridurre le diseguaglianze sociali, combattere la corruzione, garantire una magistratura indipendente e maggiori libertà civili. La riforma del sistema giudiziario, che dovrebbe garantire una maggiore trasparenza dei procedimenti, stenta a decollare, mentre le carenze del sistema formativo ostacolano la creazione di strutture che riescano a inserire gli studenti e i laureati nel mondo del lavoro.
Per quanto riguarda la libertà di informazione, le speranze riposte nella riforma del sistema mediatico, in discussione da 3 anni, restano anch'esse in larga parte disattese: il Marocco figura infatti al 136esimo posto (su 179 paesi) nella classifica mondiale della libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere per il 2013. E se le voci critiche continuano a essere soffocate, le tensioni serpeggianti nella società rischiano però di esplodere.
La contrapposizione tra istanze democratiche e risposte autoritarie si intreccia con un'altra frattura che attraversa la società marocchina: quella tra il conservatorismo religioso e le spinte per un maggiore dinamismo sociale e civile, sostenute principalmente dagli internauti. Risale a poche settimane fa la protesta lanciata sui social network da giovani marocchini in segno di solidarietà verso 3 adolescenti arrestati per avere pubblicato la foto di un bacio fuori dalla loro scuola.
Il kiss-in e le pressioni dell'opinione pubblica hanno spinto il giudice a rilasciare su cauzione i giovani e a rinviare il processo al 22 novembre. Centinaia di persone hanno pubblicato sui social network foto di baci per sottolineare la necessità di un rinnovamento sociale in un paese in cui, nel 2012, il 55% della popolazione ha avuto un accesso regolare a internet: si tratta del tasso più elevato nel continente africano e di un notevole balzo in avanti rispetto al 21% del 2007.
Un altro fronte di pressione internazionale su Rabat è quello del Sahara Occidentale. A fine settembre alcune organizzazioni non governative hanno denunciato la persistente violazione dei diritti umani della popolazione saharawi a opera delle forze di sicurezza marocchine. Il 14 ottobre l'inviato speciale delle Nazioni Unite, Christopher Ross, è volato in Marocco proprio per esortare i rappresentanti del governo a trovare una soluzione alla decennale questione.
In un recente documento, il Rfk Center for Justice and Human Rights ha rilevato che le autorità marocchine continuano a reprimere sistematicamente il diritto del popolo saharawi di riunirsi e parlare liberamente. Nelle carceri marocchine sono attualmente rinchiusi 59 prigionieri politici saharawi, 17 dei quali sono attivisti per la difesa dei diritti umani, che subiscono regolarmente torture, percosse e altri trattamenti inumani e degradanti.
Quello che il nuovo governo di Rabat è chiamato a comporre per superare i tanti ostacoli sul suo cammino è un delicato puzzle, le cui tessere rappresentano i diversi problemi sociali ed economici che nella realtà sono intrecciati tra loro e inseriti nel contesto di incertezza e instabilità che contraddistingue tutto il Nordafrica.
Solo un maggiore impegno nel rispetto dei diritti umani potrà consentire di sciogliere i nodi che impediscono al Marocco di armonizzare le sue differenze, appianare i contrasti e dare valore alla ricchezza della sua società.

http://temi.repubblica.it

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