Il film, vincitore del premio De Laurentis a Venezia nel 2004, è girato in parte alla Mecca. È un road movie "spirituale" straordinariamente semplice e diretto, ove il dato religioso appare addirittura secondario in quanto discende dagli eventi stessi, dagli equivoci, dagli incontri lungo il cammino...
C'è però una semplicità narrativa solo apparente, per cui il film merita una visione approfondita per il contenuto didattico e per i temi che propone: il dialogo tra generazioni, fra diverse mentalità e credenze religiose, il significato del viaggio, l'incontro con la religione islamica, il raggiungimento dell'autonomia del ragazzo che è scopo dell'educatore.
Il padre Mustapha, anziano marocchino immigrato in Francia e uomo devoto, decide di compiere il pellegrinaggio rituale alla Mecca almeno una volta prima che sia troppo tardi, e si fa accompagnare dal figlio Reda, nato e cresciuto in Occidente, che vive la decisione paterna come un'imposizione. Se per l'anziano il viaggio è un pellegrinaggio che vive con una grande tensione religiosa che gli fa escludere qualsiasi distrazione mondana (Non siamo turisti - dice al figlio), per il non credente Reda, molto lontano dalla mentalità paterna e indifferente alle tradizioni musulmane, i rigidi comportamenti del padre sono incomprensibili e provocano in lui forti reazioni. Fra tensioni, contrasti e incomprensioni talvolta persino buffe, la forzata convivenza del viaggio lungo i 5000 chilometri, da Marsiglia a Istanbul, attraverso un'Europa sempre più vicina all'Islam, e poi da Damasco alla Mecca, porterà il rapporto tra i due protagonisti a evolvere psicologicamente dalla sopportazione, alla comprensione, al rispetto reciproci.
Accanto al viaggio geografico, infatti, se ne delinea uno interiore, che è quasi un percorso d'iniziazione, di crescita, di raggiungimento della saggezza: non a caso l'unico monumento visitato dai due protagonisti è la Moschea di Santa Sofia a Istanbul (sophia in greco = saggezza). È tramite il linguaggio esperienziale che avvengono il riconoscimento dell'altro e l'incontro: se cultura diversa, religione ed età sono inizialmente muri che si frappongono nella costruzione di un dialogo, il superare insieme le difficoltà quotidiane porterà padre e figlio ad avvicinarsi, a mostrare via via sempre più attenzione l'uno per l'altro ed infine a comprendersi. Anche la progressiva crescita di Reda avviene gradualmente in tappe successive, quasi fosse il secondo scopo del viaggio paterno. Il giovane scopre che quel padre semianalfabeta comunica mille volte meglio di lui con gente che non parla la sua lingua.
Man mano che si avvicina ai paesi arabi egli comprende l'immensa distanza che lo separa dal mondo dei suoi genitori; nel contempo venendo in contatto con i precetti di quella religione così lontana impara il silenzio, la pazienza, il rispetto, la carità. Impara a essere più tollerante e scopre alla fine che la convivenza tra le due mentalità, fra i due mondi europeo e islamico, è possibile nel rispetto delle relative convinzioni. Non si tratta di una conversione: Reda mantiene la sua laicità e il regista sottolinea anche visivamente tale diversità (la t-shirt gialla del ragazzo spicca nel mare di tuniche bianche). Si scorge così nell'evolvere del film quello che Panikkar definisce il dialogo dialogale, nel quale i protagonisti anzichè cercare di capire da che parte stia la verità, o a misurare le verità dell'uno e dell'altro come in un'arena, scoprono cammin facendo - nel viaggio che è la piazza dove fare esperienza dell'incontro con l'altro - che la verità è sempre più in là delle nostre definizioni, e ci supera sempre.
Ed è così che il dialogo con l'altro diventa fecondo, quando non sorge una nuova verità, bensì la consapevolezza di aver capito qualcosa di più su di essa.