14 Dic
2012
Crisi egiziana - Anna Vanzan

Argomento: societacostume | 3186 | 0 | società

Nel ritratto fornito dai media internazionali della crisi egiziana in atto prevale la descrizione di un Paese diviso tra islamisti (Fratelli Musulmani e salafisti) da un lato e opposizione laica dall'altro.
Quest'ultima, formata da gruppuscoli liberali, minoranze religiose e sociali, starebbe lottando contro l'estensione di potere che il Presidente Morsi ha proclamato per se stesso e contro la bozza di costituzione che porterebbe all'imposizione di un modello statale religioso...

Certo è che una parte degli egiziani sta protestando contro il ruolo dittatoriale che Morsi si sta ricavando; meno certa è questa apparente dicotomia tra religiosi che vogliono l'implementazione della shari'a e laici che la rifiutano. Vediamo innanzitutto i termini della costituzione: nella nuova bozza i riferimenti alla legge islamica sono menzionati solo negli articoli 2 e 219. L'art 2, che esiste fin dai tempi di Sadat, prevede che i principi della legge islamica siano le fonti principali della costituzione. Mentre i salafiti hanno protestato, chiedendo che l'art 2 preveda la shari'a quale unica fonte, gli altri gruppi, compresi laici e cristiani, non hanno avuto nulla da eccepire al mantenimento dell'art 2 così com'è ora. Nonostante la mediazione qualificata (da punto di vista religioso) dell'imam della moschea di al Azhar, su questo punto non si è riusciti a trovare l'accordo, e così vari membri del Comitato per la Costituzione, fra cui il candidato perdente alla presidenza, Amr Mousa, e leader di partiti laici hanno ritirato il loro appoggio alla bozza, chiedendo, al contempo, di rivedere pure il ruolo di alcune istituzioni statali quali la magistratura e l'esercito.

Tale ritiro era inteso a far fallire l'appuntamento per il licenziamento della bozza della costituzione previsto per il 12 dicembre, con il conseguente obbligo da parte di Morsi di rinominare nuovi esperti e re iniziare il procedimento da capo: un vero colpo per Morsi, già accusato di non aver realizzato nessuno degli obiettivi promessi durante i primi cento giorni di presidenza.
I partiti laici non si sono lanciati in richieste di separazione tra religione e stato, nè nelle piazze gremite di manifestanti anti-Morsi si sono uditi slogan di richiesta di secolarizzazione: anche perché le opposizioni laiche stanno bene attente a non lasciare la fiaccola dell'islam nelle mani esclusive dei Fratelli Musulmani in un Paese in cui l'identità musulmana è comunque condivisa dalla stragrande maggioranza.
La crisi egiziana è squisitamente politica: i Fratelli Musulmani si stanno ponendo come unici arbitri del Paese, convinti che il successo ottenuto alle elezioni garantisca loro un governo incondizionato che non tenga conto dell'opposizione. Ma quest'ultima ha dimostrato di poter continuare a riempire le piazze di migliaia di dimostranti, segno che i Fratelli non hanno una maggioranza definitiva, così come bisogna ricordare che Morsi È stato eletto con una risicata maggioranza del 51% dei voti: l'islam politico non è quindi così prevalente come si vorrebbe far pensare, solo più prevaricatore. È contro questo modello autoritario imposto dai Fratelli e da Morsi che le opposizioni si stanno organizzando. Per uscire dalla crisi, l'Egitto ha anche bisogno di uscire dalla pretestuosa dicotomia tra islamisti e laici, ripensando invece a costruire una democrazia che rifletta le diversitÀ politiche del Paese.

fonte: Giornale di Brescia 12/12/2012

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