Silvia Aisha Romano: È davvero il velo che conta? - Amir Fallaha

Silvia Aisha Romano ha finalmente condiviso i dettagli della sua profonda storia con noi, in una sua intervista rilasciata a La Luce News.
Ci ha raccontato tutto il suo percorso, da donna non credente a chi, tramite la fede, ha trovato la forza di affrontare alcuni dei periodi più bui e terrificanti in cui si possa passare, ad un passo dalla morte e in costante stato di paura ed incertezza...

Davanti ad un simile racconto (che invito a leggere prima di continuare con questo post), non si può far altro che soffermarsi col pensiero sulle decine di temi su cui si è espressa, che hanno costituito poi l'interezza del suo percorso.

Ha parlato di questioni esistenziali, di sofferenza, di moralità, di etica, di empatia, di pregiudizi, di speranza, di paura, di confusione, di ansia, di rabbia, di senso di missione nella vita.

Ha raccontato di un percorso apparentemente contraddittorio: prima, da non credente, rinnegava Dio perché se Dio esistesse, non potrebbe esistere tutto questo male; poi invece è stato proprio attraverso il male che ha subito ad aver trovato Dio.
Il tutto con parole che indicano consapevolezza, con argomentazioni maturate che non alludono ad un lavaggio del cervello che porta le persone a ripetere degli slogan superficiali.

No, Silvia Aisha non si è neanche dissociata dal suo passato, lei si riconosce infatti come la stessa persona, con solo delle consapevolezze in più. Il suo percorso non l'ha portata ad un atteggiamento arrogante nei confronti di chi, nella sua prospettiva, non è ancora arrivato alle sue consapevolezze/convinzioni (tratto tipico di chi invece ha subito un lavaggio del cervello), ma afferma in modo esplicito: Posso capire chi oggi, non conoscendo l'Islam, pensa queste cose (riferendosi ai pregiudizi nei confronti delle donne musulmane e del loro velo, ndr).

Dall'altra parte invece, una massa sconsiderata di persone sul web non musulmane, tra cui diverse politiche, sindacano sulla scelta di Aisha, guarda caso attraverso gli stessi pregiudizi che la stessa Silvia ha dichiarato che avesse in passato.
Parlano di libertà che, per definizione, non si può circoscrivere in un unico modello e poi si contraddicono dicendo che non si possa essere libere con il velo, e che esso sia, come affermato da una politica, un simbolo di sottomissione. Sottomissione a quali uomini? A suo marito che non esiste? A suo padre che non è musulmano?
In breve, per queste persone non sei libera di sentirti libera come vuoi, ma sei libera solamente se ti limiti a seguire il loro concetto di libertà.

Ecco la vera contraddizione del concetto di libertà, ed ecco i reali slogan superficiali non pensati.

Non di meno, ecco manifestatasi una grande inconsapevolezza: da una parte Silvia che dice alle sue compaesane italiane che era come loro e che pensava le stesse cose, ma che ha scoperto poi attraverso un lungo percorso che le cose non stavano come le è sempre apparso pregiudicatamente, dall'altra alcune di queste sue compaesane italiane ferme ancora a questi pregiudizi che in poche parole la stanno invitando a ritornare ad abbracciare le sue idee sbagliate e superficiali che aveva prima di conoscere le cose davvero.
Quale assurdità più grande di questa? E quale cecità più evidente, sapendo che non ha neanche invitato le persone a convertirsi, ma ha indirettamente detto attraverso il racconto di se stessa di essere più aperti e di andare oltre alle proprie convinzioni.

Ma non è qui che mi voglio soffermare.

In un'intervista di 24 domande e di 2400 parole, è stato ancora più sconfortante vedere le polemiche e le bufere di discussioni nate sul web tra i musulmani (soprattutto tra le musulmane, velate e non) in seguito ad una frase riguardante il velo, e in seguito a due parole: dignità e onore.
Delle 2400 parole, tutta la storia di Aisha si è limitata a queste due parole, che possono essere più o meno condivisibili (infatti personalmente neanch'io condivido il suo stesso concetto di velo), ma che davanti a decine di altre tematiche toccate e che oggi mancano più che mai nella nostra comunità, soffermarsi su questa unica questione diventa quasi superficiale come soffermarsi sulla notizia del suo andare dall'estetista insieme alla madre che hanno riportato i giornali pochi giorni dopo il suo arrivo.
Leggere queste polemiche mi ha riportato alla mente l'esempio del saggio che indica la luna e dello stolto (che io preferisco chiamare inconsapevole) che guarda il dito.
Una grande inconsapevolezza che necessita di una pausa di riflessione.

Facendo un passo indietro, le musulmane che si sono sentite di esprimersi sulle esternazioni di Silvia sul velo lo hanno fatto con l'intenzione di rivendicarne il suo essere un atto di fede individuale, scollegando da eventuali ruoli che hanno un loro effetto su alcune dinamiche sociologiche. Sia ben chiaro, io non ho nessun problema nei confronti delle musulmane che si sentono di esprimersi, perché si tratta dello stesso diritto che condividono con Silvia Aisha e con qualsiasi altra donna, di esprimere ciò che sentono.

Per questo questo post non si soffermerà né qui né lì, né per discutere della reazione di alcuni non musulmani.
Questo post guarda laggiù. Se è vero che è psicologicamente frustrante e provante per molte musulmane l'essere giudicate da tutte le parti (musulmani e non) solamente per il loro vestiario, ma soprattutto il dover discutere constantemente del proprio codice di abbigliamento che si è deciso di osservare, quando dice di noi il fatto che, davanti ad un percorso intero di una nostra sorella musulmana, ci si è soffermati a discutere del suo velo? Pensateci.

Non è forse vero che è diventato snervante e frustrante per voi, care sorelle, dover sempre discutere di velo?
Che di tutto il vostro percorso profondo, unico ed individuale, dobbiate molte volte discutere di un copricapo?
Non sono forse legittime le vostre lamentele riguardo al fatto che, di tutti gli aspetti della fede che vivete, dobbiate maggiormente focalizzarvi in un aspetto meramente estetico?
Non è forse vero che preferireste e amereste che le persone, musulmane e non, guardino più in là?

Allora vorrei davvero capire come possa essere stato possibile che, davanti ad una storia che ritraeva proprio un percorso intero, alcune di voi abbiano potuto soffermarsi e discutere fino alla noia solamente del suo velo, solamente di due parole su 2400, trascurando di fatto il focus sulla decina di temi molto più profondi ed esistenziali su cui si è espressa.
Qui si tratta di tutte: sia musulmane non velate, sia musulmane velate sia musulmane ex velate.

Ma sei un uomo, cosa vuoi capirne?!

Io vorrei davvero capire, e sto facendo queste domande per cercare di soffermarmi laggiù.
Avrei capito l'innalzarsi di queste polemiche nel caso Silvia si fosse espressa SOLO sul velo, ma avendo parlato di questioni esistenziali, di sofferenza, di moralità, di etica, di empatia, di pregiudizi, di speranza, di paura, di confusione, di ansia, di rabbia, di senso di missione nella vita, ostinarsi e focalizzarsi solamente sul velo suggerisce che si è ancora vittime inconsapevoli di ciò che si continua a criticare, e lo dico perché ha dato fastidio a me, uomo, leggere della sua storia che ha colpito e del suo percorso e mi ha affascinato, solamente le polemiche sul velo, quindi non immagino quanto possa essere snervante per voi, velate o no, ogni volta il campanellino: velo, velo, velo, velo, velo.
Si critica che ci si focalizzi sempre nel parlare di velo quando si tratta di donne musulmane, ma allo stesso tempo noto che tra alcune musulmane stesse non si possa far altro che parlare di esso, e in questa storia emerge e si evidenzia ancora di più questo ostinamento per il fatto che non ci fosse solo questo tema.
Si cade così inconsapevolmente nella trappola che si cercava di evitare.

La soluzione non è né qui né lì, ma laggiù.
Non discutere del dito, ma osservare la luna, contemplarla, permettere alla sua luce di illuminarci e penetrarci. Se ci focalizziamo su questi dettagli rispetto alla totalità della storia, non saremo meno superficiali di chi ha riportato la notizia del suo recarsi dall'estetista.
Io, come voi, ho letto le sue esternazioni e non la penso ugualmente sul velo, ma leggendo l'articolo non mi ci sono soffermato particolarmente, e non perché sia un uomo e quindi non mi tocca, piuttosto perché sono rimasto a riflettere davvero molto sul suo percorso, e l'apparente contraddizione sul come abbia trovato Dio ha occupato i miei pensieri, pensando a quante altre persone si trovano nella stessa situazione, a quante altre persone si chiedano: Perché succede a me questo? A quante altre persone abbiano trovato Dio nel dolore, quel dolore che invece di allontanarti a Dio, ti lega a ciò che è essenziale e te lo fa esperire perché lo riconosci quando lo vivi.

Queste apparenti contraddizioni trovano totale armonia nella fede, ed è il VIVERE la fede la luna a cui dobbiamo permettere di farci illuminare e penetrare, e tramite la quale potremo vincere i momenti più bui della nostra vita, ognuno a seconda delle sue prove che Dio gli ha dato per cercarLo, chiedere di Lui e chiedere a Lui.
E ripeto che dobbiamo permettere a questa luna di illuminarci, perché se davanti ad un'occasione di introspezione così evidente, l'unica cosa che riusciamo a fare è discutere di un aspetto estetico, non capisco come si possa poi in altre occasioni focalizzarsi sulla luna senza continuare a guardare e polemizzare sul dito.
Ne usciremo quando andremo oltre a tutto ciò.

Non servono le risposte per chi vive, perché chi ha capito l'universalità della luna, riuscirà a comprendere che la luna può essere indicata da due dita in direzioni opposte, per questo non si focalizzerà più qui né lì, ma laggiù.


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(serve registrazione) :evil:


Articolo tratto da: MaanInsieme - http://maaninsieme.altervista.org/
Pubblicato Giovedi 09 Luglio 2020 - 07:24 (letto 1823 volte)
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