08 Nov
2014
A ciascuno la sua morte - Enzo Bianchi

Argomento: teologiacristiana | 2696 | 0 | cristiani

"O Signore, concedi a ciascuno la sua morte: frutto di quella vita in cui trovò amore, senso e pena".
Sono versi di Rainer Maria Rilke, nel suo Libro d'ore (III, Il libro della povertà e della morte), in cui il poeta chiede che la morte di ogni persona sia una morte coerente, che le appartenga, perché nata da lei come un frutto.
È una preghiera molto bella, che ci fa vibrare il cuore; ma proprio in quanto preghiera è molto precaria (entrambe le parole vengono dal latino prex)...

Chissà? Chi può sapere come la morte ci verrà incontro? Che occhi avrà? Avrà i nostri occhi (come chiedeva Cesare Pavese)?
Certamente la morte è davanti a noi, impossibile da rimuovere quando si è nella vecchiaia, e ritorna alla mente in modo particolare in questi giorni di novembre, nei quali non a caso ricordiamo i nostri morti, visitiamo il luogo dove sono sepolte le loro spoglie, compiamo gesti di affetto, portando fiori o accendendo lumi, quasi per consolare i nostri poveri morti. Anche la stagione sembra accompagnare questi nostri pensieri: le foglie cadono, gli alberi si spogliano fino a simulare la morte, la luce si fa tenue, breve e sovente nebbiosa, opaca.
La morte si avvicina sempre di più, anche se non sappiamo prevedere: sarà improvvisa e ci sorprenderà mentre gustiamo la vita o l'amore? Ci verrà incontro nella malattia, che diventa così un apparecchio per morire, cioè una preparazione e un accompagnamento alla morte stessa? Ci vincerà dopo una lunga e penosa mancanza di coscienza, e soprattutto incapacità di vivere relazioni e di sentire la presenza degli altri? Sarà una morte addirittura invocata, attesa con brama a causa della sofferenza che ci accompagnerà nelle ultime, ma a volte lunghissime, ore? Si fa presto a dire: non pensiamoci! È invece umano riflettere, prepararsi, perché questo viaggio senza ritorno raggiungerà con il suo senso e il suo significato il nostro cuore: viaggio di ciascuno di noi, viaggio di chi amiamo; viaggio da cui, in ogni caso, non siamo esenti. Nella mia esperienza ho visto persone che avevano paura della morte viverla poi con pace, quando è giunta; altre, che quasi urlavano di non averne paura, giungere al trapasso nella disperazione, nella sofferenza psichica, fino alla bestemmia della vita.
Sono anziano, sono ancora un amante di Gesù Cristo e mi sembra, nonostante tutto, di conservare la fede (cf. 2Tm 4,7). Dunque ho speranza di poter trovare, al di là della morte, le braccia aperte di Gesù Cristo, pronte ad accogliermi e ad abbracciarmi, lasciandomi piangere mentre lo stringo. E tuttavia - lo confesso - ho paura della morte, ho timore del giudizio di Dio sul mio vissuto, perché so quanto poco sono stato all'altezza dell'amore ricevuto. Sono certo che dovrò chiedere perdono a tanti uomini e a tante donne per non averli amati abbastanza, per non averli saputi amare.
Troverò al di là della morte quelli che hanno vissuto con me. Spero di poter stare con loro, rinnovando l'amicizia vissuta qui, vivendo in pienezza l'amore che qui magari ho vissuto in modo sbagliato ma che - ne sono certo - non andrà perso e sarà recuperato, trasfigurato. Vorrei trovarmi ancora sulla terra, una terra nuova (cf. Is 65,17; 66,22; 2Pt 3,13; Ap 21,1), ma sempre una terra, perché l'ho amata tanto, tanto come la vita, tanto come gli amici. Ho seguito un amico morente, che mi diceva: 'Dimmi, ripetimi che ci rivedremo e potremo bere insieme. Dimmelo, per favore!'. E con le lacrime agli occhi ho potuto rispondergli: 'Sarà così, perché io non vorrei risuscitare se non trovassi quelli che ho amato e incontrato nella mia vita! Se chi ho amato sarà fuori, anch'io vorrò restare fuori!'.
Che cosa mi fa sperare questo? Solo un amore più forte dei miei amori, un amore che ha vinto la morte.
Andare in questi giorni alle tombe delle persone amate, è vivere in pienezza, è vivere con meno mutilazioni, è un atto profetico che dice che l'amore non finisce: è eterno!

www.monasterodibose.it

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