12 Mar
2014
Afghanistan: la corsa a ostacoli (islamici) delle donne - ISPI

Argomento: societacostume | 2910 | 0 | società

Che vantaggi reali ha portato la ricostruzione post-talibana per le donne?
Alcuni passi avanti sono stati fatti: sono aumentati i tassi di scolarizzazione femminile, è diminuita la mortalità materna, e sono sorte centinaia di associazioni che offrono corsi vocazionali e di assistenza legale alle donne maltrattate...

Anche la visibilità femminile nello spazio pubblico è aumentata, favorita dalla decisione d'introdurre le quote rosa per la camera Alta (meshrano jirga) e per quella Bassa (wolesi jirga). Però si tratta di successi limitati, che hanno toccato soprattutto le aree già pacificate e non quelle a Sud-Ovest e Sud-Est, l'ambito urbano e non quello rurale, e che potrebbero rivelarsi effimeri. La persistente instabilità in tutta la fascia pashtun e la natura del processo politico afghano non inducono all'ottimismo.
Il sistema democratico adottato più di dieci anni fa ha assorbito logiche clientelari, regionali e clanico-tribali, la composizione delle Camere è sbilanciata a favore degli ultra-conservatori, che dominano anche la magistratura a tutti i livelli. Le beneficiarie delle quote rosa, poi, non hanno costituito un blocco trasversale che potesse superare le affiliazioni ideologico-politiche e claniche. Non c'è quindi da stupirsi che il Parlamento abbia introdotto nel 2009 una legge sullo statuto personale sciita che avallava alcune pratiche consuetudinarie discriminatorie, o che la legge sulla violenza contro le donne, emanata per decreto da Hamid Karzai quello stesso anno, una volta presentata in Parlamento, si sia arenata e abbia anzi scatenato un putiferio. Karzai, che ha introdotto la legge sulla violenza sotto pressione dei donor il giorno stesso in cui firmava la legge sul diritto sciita, per una sorta di compensazione, nel 2012 ha approvato una dichiarazione di ulama in cui si condanna la violenza contro le donne solo se avviene all'infuori delle norme della sharia. E la sharia, nell'interpretazione prevalente in Afghanistan, che è poi quella avvallata da tutto l'establishment religioso sunnita, prevede che gli uomini, preposti (qawanum) alle donne, come recita il Corano, possano picchiare le moglie.
Le interpretazioni progressiste, avanzate dal femminismo islamico nelle sue variegate diramazioni, contestano l'esegesi letterale di quel versetto e sottolineano la valenza non discriminatoria del messaggio coranico. Ma non hanno la possibilità di diffondersi. La censura in Afghanistan è quasi assoluta quando si tratta di donne e islam. L'influenza crescente dell'Arabia Saudita sull'islam sunnita non fa che rafforzare una lettura conservatrice e autoritaria della religione; il wahhabismo, respinto come un'aberrazione dagli ambienti religiosi afghani ancora all'inizio del Novecento, si è diffuso ovunque sull'onda dei petrodollari sauditi. Non è quindi irrilevante, quando si parla di donne afghane, chiedersi quale sarà in futuro il peso di Riyadh sul paese. In Pakistan ha avuto l'effetto di arabizzare la cultura locale e ha contribuito a indurre le autorità politiche e militari, dagli anni Settanta del Novecento, a sostenere gli ambienti religiosi più retrivi.
Il rafforzamento di un islam conservatore è paradossalmente avvenuto nell'ultimo decennio anche tramite la sua istituzionalizzazione in una cornice formalmente democratica. Come rivela la questione della legge sulla violenza afghana, nonostante la retorica imperante sui benefici della democrazia, a medio termine in un contesto come quello afghano, un sistema politico democratico ha un effetto negativo sulla condizione femminile. Alle attiviste afghane rimane da decidere se scommettere su un autocrate illiberale, che per decreto e sotto pressione dei donor faccia calare dall'alto delle riforme, con il rischio che scatenino la ribellione, come è accaduto in passato. O che siano equilibrate da concessioni ai settori religiosi tradizionali, in un compromesso che è espresso oggi in tutta la sua ambiguità da un testo costituzionale che da una parte riconosce l'uguaglianza di genere e dall'altro stabilisce che nessuna legge possa violare la sharia (che è applicata e interpretata da ultraconservatori). L'alternativa è altrettanto insoddisfacente: le associazioni femminili possono scommettere sul Parlamento, legando le loro istanze a uno strumento formalmente democratico, pur sapendo che per questa via qualsiasi proposta di riforma sarà fatalmente annacquata.
In realtà è impensabile che alcuni aspetti della legislazione afghana, come quelli legati al diritto di famiglia, siano oggetto a medio-termine di riforma o che, se riformati, possano essere qualcosa di più di un pezzo di carta destinato a non essere applicato. Troppo centrale è il ruolo della famiglia e, al suo interno, della donna ai fini della trasmissione dei valori (e degli interessi) di una società patriarcale e profondamente asimmetrica. L'ambito in cui, invece, si può forse fare qualcosa - e qui le associazioni femminili si stanno attivando - è la violenza contro le donne. I dati riferiscono che sia in continuo aumento: tra marzo e settembre del 2013, secondo la Independent Human Rights Commission afghana, i casi di violenza sarebbero aumentati del 25%. La violenza contro le donne aumenta in situazioni d'incertezza sul futuro e di cambiamenti socio-culturali repentini, e potrebbe rivelare in realtà una maggiore attenzione alla condizione femminile e una maggiore disponibilità a denunciare casi che un tempo erano consegnati al silenzio e alla risoluzione privata.
La violenza contro le donne è in aumento anche in paesi non musulmani. Ma se avallata da una lettura conservatrice delle fonti religiose, in cui il paradigma del qiwwama (gli uomini preposti, appunto, alle donne) permea ogni aspetto delle relazioni di genere, diventa intoccabile. A meno che non sia scalfita da una maggiore libertà di espressione, che possa dar voce a visioni progressiste dell'islam che già esistono ovunque nel mondo musulmano, e che hanno potenzialità di radicarsi ben maggiori rispetto a qualsiasi imposizione esterna. In ultima analisi, la libertà di espressione, così come altre scelte di politica interna del paese, dipendono dalle alleanze internazionali del paese e in particolare, come si diceva prima, dal peso saudita sul futuro governo afghano. Ma saranno cruciali anche i compromessi ai quali si arriverà, probabilmente con il beneplacito dei donor con i talibani e altre forze islamiste o tradizionaliste. Stabilità o diritti umani? E stabilità a quale prezzo?

[Elisa Giunchi, Associate Senior Research Fellow dell'ISPI e docente di Storia e istituzioni dei paesi islamici, Facoltà di Scienze Politi-che, Università degli Studi di Milano]

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