12 Mar
2014
Donne: passate le Primavere arabe, eppure il vento soffia... - ISPI

Argomento: societacostume | 2852 | 0 | società

A tre anni dalle cosiddette Primavere arabe, la situazione in Nord Africa e Medio Oriente, per quanto riguarda le donne appare articolata.
Nell'articolo si racconta il ruolo che in questi paesi hanno avuto le proteste femminili, quali i risultati ottenuti e quali ancora le sfide che dovranno affrontare...

Si possono ancora dividere i paesi tra quelli che hanno vissuto le Primavere e quelli che non le hanno vissute oppure le linee della condizione femminile si declinano secondo altri criteri?
Le rivolte del 2011 hanno visto certamente un grande protagonismo femminile. Dall'appello di Asma' Mahfuz alla vigilia del 25 gennaio 2011, alle denunce di Samira Ibraim contro i cosiddetti test di verginità in Egitto (marzo 2011), alla contestata performance di Alia Mahdi, l'artista blogger che si è denudata sul web. Le donne sono state protagoniste in tutte le fasi delle rivolte, dalla Tunisia, all'Egitto, al Bahrein, alla Siria. C'è stato, nei primi mesi del 2011, un moto di riappropriazione dello spazio pubblico che ha dato visibilità soprattutto alle donne e ai giovani. Tuttavia è importante ricordare che la mobilitazione delle donne, dei giovani e delle classi lavoratrici ha una sua storia consolidata nei paesi attraversati dalle rivolte. Direi che la direttrice lungo la quale si possono osservare differenze tra i vari paesi arabi che sono stati attraversati dalle rivoluzioni iniziate nel 2011, e in molti casi ancora in corso, sia da cercare proprio nella storia della rivolta delle donne. Non a caso, Tunisia ed Egitto, due paesi in cui il movimento femminista ha una storia importante, sono quelli in cui le proteste hanno prodotto anche una riflessione ampia, critica, e articolata sulla partecipazione delle donne al processo rivoluzionario. Qui le attiviste si sono mobilitate a vari livelli: nei distretti minerari di Ghafsa e nelle fabbriche di Mahalla al-Kubra, nelle università, nelle associazioni, nei movimenti e nella sfera artistica e culturale. A fronte di una sotto-rappresentanza nelle istituzioni formali (perfino nell'ultima assemblea costituzionale egiziana, nominata dopo la deposizione di Morsi, solo cinque membri su cento erano donne), le donne sono una componente molto attiva della società civile e pongono sul tavolo temi che, fino a pochi anni fa, erano tabù. La violenza di genere, per esempio.

La nuova costituzione tunisina: è davvero più avanzata di quella di Bourghiba?
La costituzione di Bourghiba era il frutto di un processo di modernizzazione e di emancipazione nazionale. Quella odierna è il frutto di un processo rivoluzionario che non è ancora compiuto e che dovremo continuare a osservare da vicino. In questa fase, la grande sfida che affronta la Tunisia sembra essere la necessità di integrare nella transizione elementi diversi che compongono la sua storia. Assieme a questa sfida culturale, vi sono, ovviamente, le grandi istanze della rivoluzione, che erano sociali, oltre che di libertà, e che sono ben lungi dall'essere esaudite.

In Libia, il cambio di regime, non ha visto un intervento femminile. Dopo le prime denunce di stupri e violenze nell'era Gheddafi, non è stato neanche più affrontato il tema sui media internazionali.
In Libia c'è stato un intervento militare e, generalmente, i campi di battaglia non sono spazi che producono agency politica femminile. La storia del Ventesimo secolo in Libia è stata caratterizzata dal permanere di autorità patriarcali che si sono affermate attraverso l'esercizio della violenza: quella coloniale italiana prima, quella della monarchia, e poi quella del regime di Gheddafi. Non era certamente un terreno nel quale potesse svilupparsi un movimento femminista vincente. Bisogna comunque ammettere che, come storiche femministe, conosciamo la Libia meno di altri paesi, molta della storiografia sulle donne libiche tende a concentrarsi sull'epoca coloniale e sulle fonti prodotte dalle donne italiane in Libia.

Egitto: possiamo dire che le Sorelle musulmane siano in ritirata?
In realtà gli eventi degli ultimi mesi hanno sconfessato molti pregiudizi sulle militanti della Fratellanza musulmana. La percezione prevalente, anche da parte delle studiose femministe, è sempre stata che le Sorelle musulmane fossero usate in maniera strumentale dalle formazioni islamiste. Questa visione tendeva a renderle oggetti, negando la loro volontà politica. La rivoluzione ha rivelato invece una presenza molto attiva e consapevole anche da parte delle militanti islamiste. Lo sgombero di Raba' al-Adaweyya, il 4 agosto 2013, e l'ondata di repressione contro i Fratelli musulmani che è seguita, hanno visto le donne reagire con forza. È sorto un collettivo chiamato Donne contro il colpo di stato, che si oppone al governo dei militari e che chiede la liberazione dei detenuti politici e il rispetto dei diritti umani. Si tratta di un movimento, tutto sommato, isolato, che non riscuote ampia solidarietà e che non è assolutamente popolare. L'anno di governo e di presidenza (luglio 2012-2013) hanno prodotto una caduta della popolarità dei Fratelli musulmani e oggi la maggior parte della popolazione egiziana sostiene l'azione dell'esercito. Paradossalmente, a esprimere una qualche forma di simpatia verso le Sorelle musulmane sono le attiviste della sinistra radicale, che fanno parte dei movimenti rivoluzionari e che, in nome del rispetto dei diritti umani, costantemente violati dall'esercito, si avvicinano alla resistenza delle donne islamiste. Tuttavia, non ci sono piattaforme programmatiche di collaborazione, e i presupposti teorici da cui muovono i diversi gruppi non lasciano pensare che una collaborazione sarà possibile a breve termine.

Quanto il successo militare dei soldati dello jihad in Siria e l'arretramento delle forze laiche compromette i diritti delle donne nell'area tra Libano, Siria e Iraq?
La guerra civile in Siria passerà alla storia come la più grande tragedia umanitaria del XXI secolo. Il paese è devastato dalla violenza del regime di Bashar al-Assad e da quella delle forze jihadiste. Il movimento per la libertà che aveva avviato la rivoluzione è schiacciato da queste due forze, e nessuno può prevedere quante generazioni saranno necessarie per rielaborare la violenza esercitata dal regime su una popolazione inerme. Le donne, con gli uomini, portano il peso di questa devastazione, con dignità, coraggio e impotenza.

E dunque un bilancio?
Credo che sia importante osservare i cambiamenti in corso tra le donne del Medio Oriente e del Nord Africa in una prospettiva di lunga durata. Le rivoluzioni hanno certamente accelerato dei processi di emancipazione già in corso, e hanno portato al centro del dibattito pubblico questioni che prima erano tabù. Hanno inoltre delegittimato il femminismo di stato che per alcuni decenni aveva minato l'energia innovatrice delle donne in politica. Oggi stanno maturando movimenti nuovi di giovani donne che discutono temi femministi e lavorano nelle comunità, anche fuori dalle città. Credo che questo sia il dato più interessante e da tenere sotto osservazione.

Lucia Sorbera, coordinatrice delle Units of Studies in the Arabic and Islamic Studies (ARIS) Program at the University of Sidney

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