25 Dic
2013
Oltre le apparenze: la transizione profonda della Tunisia

Argomento: societacostume | 2899 | 0 | società

Dal 2011, dopo l'iniziale entusiasmo, si è cominciato a guardare alle società arabe in transizione con sospetto, a volte con vera preoccupazione.
Le vittorie elettorali degli islamisti legati ai Fratelli musulmani, l'apparire di gruppi salafiti sempre più attivi e numerosi, e gli scontri spesso sanguinosi con le componenti laiche della società hanno reso il quadro generale assai più confuso e complesso di quanto eravamo abituati prima del sorgere del cosiddetto "Risveglio arabo"...

La complessità, purtroppo, per essere assimilitata produce spesso semplificazioni che rischiano di scadere nel grossolano e che in alcuni casi ci impediscono di cogliere davvero l'importanza e le profondità dei cambiamenti in atto. Fabio Merone in questa intervista cerca di andare oltre le definizioni e le semplificazioni a cui ormai ci siamo abituati, che dividono le società in transizione fra laici, salafiti e moderati e ci da un quadro maggiormente profondo e completo di quello che si muove sotto la comoda facciata semplificatoria troppo spesso fornita dai nostri media.

Intervista di Eugenio Dacrema

Fabio Merone è un ricercatore della DCU Dublin City University. Negli ultimi 10 anni ha vissuto in Tunisia, da dove da tempo collabora con numerose testate internazionali. E' stato inoltre ricercatore associato per un progetto sull'islamismo in Medio Oriente finanziato dalla Gerda Henkel Fundation.

Al di là delle definizioni connotate in modo settario-religioso (come islamisti, salafiti, laici eccetera), cosa sta succedendo in Tunisia a livello socio-economico? Quali gruppi socioeconomici hanno perso e quali hanno vinto nel dopo Primavera araba?

La dinamica politica che si è sviluppata nel paese dopo la rivoluizone si è concentrata sulla costruzione delle istituzioni democratiche. Si tratta di un processo politico-istituzionale gestito da una vecchia classe dirigente, erede della prima stagione di liberalizzazione degli anni '80.
Islamisti di prima generazione e liberali, ciascuno a modo loro, hanno rappresentato l'aspirazione della classe media di partecipare alla gestione dello stato. La questione problematica è che essi non rappresentano più la nuova generazione che è cresciuta ed è maturata nel decennio duemila. Tutti coloro che hanno testimoniato il sollevamento popolare sanno bene che i protagonisti della rivolta erano giovani e giovanissimi e che non appartenevano a nessuna delle famiglie politiche oggi sulla scena.
La frustrazione del dopo rivoluzione è quindi politica; generazionale; ma è soprattutto sociale. Per quanto possa essere sorprendente il partito Nahdha non rappresenta la vera forza popolare del paese; sono anch'essi figli di una generazione che si è imborghesita nel processo, perché si sono fatti più anziani, ma anche perché rappresentano una piccola borghesia che aspira a condividere la gestione del potere; ora che ci è arrivata, il suo interesse principale è l'integrazione in un sistema democratico. Restano coloro che erano stati esclusi dal mito della classe media dal regime precedente e che ancora lo sono. Sono lo stesso soggetto sociale che si è ribellato facendo cadere il regime.

Islamista, o ancora più salafita, sono parole che vengono spesso associate a un certo Islam conservatore, se non integralista, e alla volontà di imporre un certo tipo di interpretazione religiosa all'intera società. Ma basta questo per descrivere questi partiti e questi gruppi politici? Chi sono concretamente le persone che entrano a far parte dei gruppi salafiti in un paese come la Tunisia?

L'attribuzione di categorie politiche occidentali alle realtà dei paesi del Medioriente può essere a volte fuorviante. L'Islam politico all'origine ha una forte valenza sociale e rivoluzionaria, come il movimento salafita radicale. Quello che ci induce a considerarli conservatori e ultraconservatori è la loro attitudine sociale puritana. Non vorrei essere confuso: non sto dicendo che i salafiti rappresentano una forza politica rivoluzionaria. Il problema dei salafiti, soprattutto i jihadisti, è che traducono la frustrazione sociale dei giovani in una dimensione spirituale/religiosa che si può trasformare, in certe circostanze, in odio etnico e confessionale. Non sono capaci di tradurre il bisogno sociale in una battaglia politica seria. Essi tuttavia riescono ad interpretare quel bisogno sociale, proprio di una classe di esclusi, di sentirsi partecipi della propria esistenza e di trasformare la società in un qualcosa di più giusto.
Come dire, sono proiettati in una dimensione mitica di cambiamento della realtà, molto forte spiritualmente quanto debole politicamente. La cosa interessante del caso tunisino è che l'esperienza di Ansar al-Sharia è un tentativo nuovo di trasformare il salafismo jihadista radicale in qualche cosa più vicina ad un progetto politico. Il jihadismo mondiale è in una fase di cambiamento ed il caso tunisino è molto particolare, perché in esso si sono create, dopo la rivoluizone, quelle condizioni uniche di libertà che permetteva ai leader di Ansar al-Sharia di passare ad una fase nuova, che la letteratura jihadista definisce di tamkin, cioè di costruzione.
L'obiettivo è sempre lo stato islamico, la loro visione del mondo resta mitica, ma il fatto di essersi trasformati in un movimento sociale con tanti giovani che vi hano aderito, ha permesso loro di confrontarsi ad un livello sociale più ampio ed a pensare alle condizoni di costruzione di un vero stato. Questo è un segno di evoluzione importante. Il primo risultato tangibile è che smettono di pensare al jihad come ad una guerra contro il nemico miscredente.

Lo scontro fra governo e salafiti si è fatto sempre più cruento. Fa bene il governo ad adottare una strategia di scontro frontale? Quali sono i rischi di questo comportamento anche per la realizzazione di un pieno sistema democratico?

Essere nella posizione del decisore politico implica una responsabilità precisa ed inevitabilmente l'approccio è diverso da quello dell'osservatore o dell'accademico. Poichè vivo in questa società e ne respiro gli umori, so quanto timore il fenomeno jihadista produce. Tuttavia voglio ricordare un episodio che può aiutare a capire di che tipo di fenomeno stiamo parlando.
Nel mese di maggio scorso, la polizia ingaggia un braccio di ferro con Ansar al-Sharia: l'oggetto del contendere è l'organizzazione del congresso annuale dell'organizzazione salafita. Un enorme dispiegamento di forze di sicurezza in tutto il paese crea un clima surreale; l'esercito circola con le bandiere della nazione, mentre il segretario del partito comunista sfila con i sindacati di polizia davanti l'assemblea costituente. Sembra una lotta dell'intera nazione contro il pericolo terrorista. Inaspettatamente invece i quartieri popolari prendono posizione a favore di Ansar al-Sharia, la prova è che i gruppi ultrà con un comunicato stampa solidarizzano con i salafiti.
Quando lo stato si mostra con la forza della repressione contro Ansar al-sharia, le classi emarginate solidarizzano. Questa è una dimostrazione del fatto che il fenomeno salafita in Tunisia oggi è un vero e proprio movimento sociale. La liberalizzazione del Paese ha fatto si che anche il settore più popolare della società si esprimesse, ed esso lo fa attraverso il salafismo perché si tratta dell'unico strumento di reazione possibile in quello specifico contesto sociale. Ansar al-sharia è inoltre un progetto nuovo che spinge questa forza giovanile radicale verso l'istituzionalizzazione, creando la possibilità di partecipazione civile attraverso lezioni religiose ed impegno sociale nel quartiere.
Il movimento jihadista in Tunisia è un fenomeno complesso con diverse sfaccettature, e non c'è dubbio che nasconde al suo interno molte contraddizioni, soprattutto in rapporto al concetto di jihad. Il progetto specifico di Ansar al-Sharia, tuttavia, secondo la mia esperienza di ricerca, contiene degli elementi di novità interessanti. In due anni dalla sua esistenza il movimento ha selezionato una vera classe di giovani leader, maggioritariamente provenienti da ambienti popolari. Il fatto che si siano costituiti ufficialmente in organizzazione, con vari dipartimenti (dawa, logistica, media); che abbiamo elaborato un piano politico, economico e sociale; che organizzano ogni anno un congresso, li fa assomigliare ad un vero partito politico.

Non va negato dunque che il movimento jihadista in sè contiene elementi potenziali di pericolo (anche perché esso è più vasto della sola esperienza di Ansar al-Sharia) ma, per quanto paradossale possa sembrare, contiene anche elementi di opportunità. Scegliere la strada dello scontro diretto, dichiarando Ansar al-Sharia gruppo terrorista, è dunque, dal mio punto di vista, un errore grossolano. In questo modo ci si rifugia nel semplicismo dell'approccio securitario fine a se stesso e si nasconde l'evidenza del fenomeno sociale. Questo permette all'apparato di riaffacciarsi sulla scena ed imporre di nuovo l'agenda politica, ma soprattutto fallisce nel fare la differenza tra coloro che chiedono l'integrazione sociale e coloro che agiscono solamente in nome della violenza.

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