05 Nov
2013
Donne e religione - Renata Pepicelli

Argomento: teologiamusulmana | 2795 | 0 | islam

A partire dall'ultimo decennio del secolo scorso e sempre più dopo l'11 settembre 2001, la crescente immigrazione musulmana in Europa ha cominciato ad essere avvertita come una seria minaccia ai valori democratici e a uno dei grandi pilastri attorno a cui sono nate le società moderne, il secolarismo...

È divenuta opinione comune che i musulmani siano fanatici fedeli di un credo dispotico, antiliberatario e contrario ai diritti delle donne. Giornali e programmi televisivi discutono spesso della condizione della donna musulmana e dell'oppressione che subisce a causa della religione. I discorsi sulla sua subordinazione e sulla necessità che venga liberata da una fede violenta sono diventati elemento determinante nelle scelte in materia di relazioni internazionali, piani di cooperazione, interventi armati e politiche migratorie.

Di fronte a questo ritratto dell'Islam come irriducibilmente altro e delle donne musulmane come necessariamente sue vittime, circa tre anni fa all'interno di un gruppo di ricerca europeo (gemic.eu) ci si è chiesti se le donne musulmane erano davvero vittime della propria religione e se l'Islam stava ponendo delle sfide eccezionali al secolarismo europeo.
Per rispondere a queste domande si è scelto di allargare lo spettro d'indagine, estendendo lo studio anche a donne di altre religioni. In Italia la ricerca di campo si è concentrata in uno specifico contesto urbano: Centocelle, nella periferia orientale di Roma, dove sono state prese in considerazione in particolare due comunità religiose: quella musulmana sunnita, composta per lo più da arabi, raccolta attorno alla moschea al-Huda, e la comunità battista rumena della chiesa di via delle Spighe.

Ci siamo resi conto fin dai primi passi della ricerca che il semplice spostamento nella messa a fuoco del soggetto di studio (non più solo l'Islam), insieme alla scelta di porre domande diverse (non più o non solo qual è l'effetto della religione sulle donne, ma qual è il loro ruolo nella riaffermazione della religione), mostrava risultati inaspettati. Risultati che invitano a leggere l'affermazione dell'Islam in Italia e nel resto d'Europa sotto una nuova luce.
È apparso evidente che l'Islam non era la sola religione che ritornava a chiedere uno spazio nella sfera pubblica: il cambiamento delle condizioni storiche, politiche, e culturali insieme all'emergere di nuovi attori sociali, migranti e non, ha infatti comportato un generale ritorno della re­ligione nella sfera pubblica italiana ed europea.

A ben guardare, in Italia e nel resto d'Europa, non sembra esserci un'eccezionalità dell'Islam. Sono le religioni in generale che si stanno riaffermando in un ambiente che forse è ormai il caso di definire post-secolare. In questo processo, le donne non appaiono vittime quanto piuttosto protagoniste. Le più giovani - che siano casalinghe, studentesse, lavoratrici - sono spesso le più attive attrici del revival religioso di questi anni.
«Siamo noi giovani che parliamo di Islam ai nostri genitori, piuttosto che il contrario. Il primo a parlare di Islam è stato mio fratello che ne ha discusso con me, e poi insieme ne abbiamo parlato con mia madre. Nostra madre ha cominciato a praticare, fa il digiuno, ma non indossa ancora l'hijab, ma spero che presto lo farà, comunque è una sua scelta. È la sua coscienza che deve dirle se metterlo o non metterlo.
Mio padre è più distante, ma spero che anche lui si avvicinerà alla sua fede», racconta una giovane albanese durante un incontro nella moschea di Centocelle. Per molte giovani donne come lei, indossare l'hijab (il velo che incornicia il volto lasciandolo scoperto) è il segno della riappropriazione dell'Islam in quanto identità religiosa e culturale, piuttosto che espressione di continuità con una tradizione in cui non sempre si riconoscono. Nelle loro parole il velo non è simbolo d'ignoranza e reclusione, non esprime sottomissione agli uomini, ma a Dio; non le nasconde, ma le rende visibili nella sfera pubblica, nella vita sociale e in quella religiosa.
La loro presenza nelle moschee sta mutando il volto di luoghi che sono stati a lungo soprattutto maschili. Per secoli le donne musulmane hanno infatti praticato la propria religiosità tra le mura domestiche; oggi invece, sul modello delle donne delle prime comunità islamiche, sempre più frequentano le moschee, dove organizzano corsi di studio del Corano, attività di volontariato, doposcuola per i loro figli e lezioni per le donne che non parlano l'arabo o la lingua del paese in cui sono emigrate.
Alla moschea di Centocelle, il sabato pomeriggio, lo spazio femminile pullula di donne di tutte le età. Mentre i bambini giocano o frequentano le classi di arabo, loro si dedicano alla lettura e al commento dei testi sacri, guidate da una donna considerata esperta in studi religiosi.

Poco lontano, le donne della chiesa battista si incontrano ogni settimana per dedicarsi agli studi biblici e organizzare il proselitismo tra i connazionali. Il loro ruolo nella diffusione del battismo è decisivo. "Mio marito ed io abbiamo aperto due chiese in Romania prima di essere inviati in Italia a vivere tra i rumeni - racconta la moglie del pastore -. Come moglie del pastore ho molte responsabilità. Aiutata anche da altre donne, ho iniziato una missione chiamata Messaggera di Cristo.
Nel 2007 ho anche scritto un libro sulla vita qui in diaspora. Si chiama All'ombra delle rovine del Colosseo. L'idea mi è venuta dai primi cristiani che qui hanno dovuto lottare così duramente per la loro fede e ora noi ci ritroviamo nella stessa posizione, nello stesso luogo, nel senso che Dio vuole che noi facciamo le stesse cose che hanno fatto loro".

I risultati della ricerca svolta a Centocelle mostrano un ritratto delle donne musulmane in Italia diverso da quello spesso proposto dai mass-media. Le loro storie e le loro pratiche non appaiono poi così dissimili da quelle di donne di altre fedi che oggi rivendicano in privato e in pubblico la centralità della religione nelle proprie vite.
Per quanto è innegabile che ci siano molte donne che subiscono violenze e sopraffazioni da parte di uomini che si giustificano dietro interpretazioni misogine del Corano, molte altre vivono l'Islam come libera scelta, come uno strumento per agire nuove forme di cittadinanza e ottenere una maggiore uguaglianza tra i generi. Se è vero che le donne che oggi affollano le moschee di Italia sostengono pratiche religiose che prevedono una chiara divisione tra generi (no spazi misti nei luoghi di culto, no donne alla guida della preghiera, adozione dell'hijab ...), è anche vero che queste stesse donne esprimono modelli femminili tutt'altro che passivi.
In nome dell'Islam, contestano la violenza e le forme di esclusione, rivendicando uno spazio nella vita delle loro comunità e della sfera pubblica italiana. Non oggetti silenti, ma soggetti politici dell'età post-secolare, le donne musulmane di Italia ci invitano oggi a ripensare alla religione come a uno spazio di possibile emancipazione e di auto-realizzazione.

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