25 Giu
2012
Le conversioni all'islam di Anna Vanzan

Argomento: eventi | 3185 | 0 | eventi libri

Le conversioni alla fede islamica sono in aumento anche nel mondo occidentale.
In Gran Bretagna, ad esempio, sono parecchie decine di migliaia i cittadini di fede cristiana, o non professanti alcunchè, che hanno abbracciato l'islam, il 75% dei quali rappresentato da donne.
Un bel risultato per una religione che molti etichettano quale misogina...

In Italia vi sono ormai alcune associazioni che raggruppano i convertiti all'islam, a Milano, Vicenza, Roma, nelle quali la presenza femminile è attiva e in crescita. Non vi sono statistiche precise, perché i diretti interessati non si sono ancora censiti, mentre le illazioni dei media a riguardo sono spesso faziose e irrispettose: la rassegna stampa di reportage sul mondo dei convertiti che ho raccolto trasuda di incredulità, facile ironia sul profilo dei nuovi musulmani, dipinti generalmente come personaggi border line che hanno attraversato tutte le correnti di pensiero e vissuto esperienze di vita diversamente estreme prima di trovare un porto sicuro nell'islam. Le donne, poi, sono considerate solo convertite per amore, ovvero, creature fragili che cambiano religione solo perché attratte da un uomo musulmano: incasellate, così, in un ritratto razzista e maschilista.

Certamente le conversioni al buddismo o alle varie religioni new age non provocano la stessa reazione causata dall'aumento della popolazione musulmana nel nostro Paese, che inquieta soprattutto coloro i quali identificano l'islam con l'oscurantismo, o, peggio, con il terrorismo. Il fatto poi che siano delle donne a scegliere di aderire all'islam dove, secondo i più, s'annidano tutti i peggiori nemici del genere femminile, dalla poligamia alla lapidazione, dalle mutilazioni genitali all'annullamento della figura femminile nella sfera sociale, risulta inspiegabile e incomprensibile. Ciò avviene soprattutto perché i pregiudizi nei confronti dell'islam sono pervicaci e tenaci: per quanto sia gli stessi musulmani sia gli studiosi dell'islam dichiarino e scrivano con autorevolezza che le cosiddette mutilazioni genitali femminili non sono una pratica musulmana, che lapidazione non è presente nel Corano, che la poligamia è sempre stata fenomeno limitato e controverso e che la presenza delle donne nella società è legata a fattori assai diversi da quello religioso (economico, culturale, geografico, ecc.), l'islam continua a essere identificato come un pericolo soprattutto per la libertà delle donne e, di conseguenza, per l'intera società.

Pertanto, la conversione all'islam (anzi, come dicono i musulmani) il ritorno all'islam di milioni di individui si presenta come un rebus di difficile soluzione.

Eppure, basta chiedere le motivazioni della propria conversione agli interessati. Cinzia Aicha Rodolfi, con il suo libro, offre molte risposte.
Certo anche Cinzia potrebbe essere etichettata come convertita per amore, giacchè la sua scelta è stata conseguente all'innamoramento per un coetaneo tunisino, ma la sua testimonianza prova che, in realtà, il sentimento è stato solo l'occasione d'incontro con una religione che l'ha coinvolta in modo profondo.
La conversione di Cinzia non trova adeguata risposta per molti: era (ed è tuttora!) una ragazza bella, istruita, di famiglia benestante, dotata di indipendenza economica derivante prima da una professione basata sul culto del corpo (modella), poi da un lavoro in cui comunque la bella presenza è fondamentale (accompagnatrice turistica). La sua scelta di abbandonare non solo l'esposizione del corpo, ma addirittura di assumere il velo, che per moltissimi rappresenta la negazione della femminilità, come essa intesa in occidente, risulta incomprensibile ai più. Anche perché il velo non le è stato non solo imposto, ma neppure richiesto dal marito.

Non c'è dubbio, infatti, che di tutti i simboli musulmani, il velo è quello che provoca le reazioni più scomposte: la stessa presenza delle donne velate nel nostro Paese viene monitorata come segno dell'espansione dell'islam, quasi che esse fossero tanti minareti. Forse perché, un tempo, i minareti erano eretti dai musulmani a dimostrazione della loro presenza in zone abitate da altre religioni.
Il velo occupa il centro del discorso tra islam e occidente. Da secoli il velo è per l'islam il segno di demarcazione tra pubblico e privato, la protezione per la sfera intima e inviolabile: mentre, al contrario, l'occidente vede il velo come il segno della distanza invalicabile tra Est e Ovest. Se nei paesi d'origine il velo è considerato segno di arretratezza e/o di costrizione, il velo delle musulmane che vivono in occidente è spesso interpretato quale simbolo della mancanza di volontà da parte della comunità islamica di integrarsi.

Cinzia Aicha ci chiarisce le ragioni per cui ha liberamente adottato il velo, che possono essere comprese oppure no, ma che vanno ascoltate da chi desidera capire. Lei ha scritto questo libro per un'esigenza interiore, non per insegnare, ma soltanto per raccontare il suo percorso.
Certamente, la testimonianza di Cinzia Aicha non rientra nel binomio classico donna e islam, che vende molto, poichè basato su testi costruiti per compiacere le aspettative di un certo pubblico occidentale rispetto alle donne musulmane: storie dolorose, di ammissione di errori compiuti, di costrizioni e di maltrattamenti, che certamente esistono, ma che non sono esclusivo appannaggio del mondo islamico, nè tantomeno lo caratterizzano. L'immaginario collettivo vuole ancora immagini femminili avvolte in neri ciador iraniani, nei burqa azzurri afghani, o dai volti celati dal niqab. Ma sempre più lettori avvertono la necessità di andare oltre il facile stereotipo propinato da coloro che vogliono velare la reale immagine dell'islam.

Questo libro è dedicato a loro.

Anna Vanzan
Prefazione: Cinzia Aicha Rodolfi, Dalle sfilate di moda al velo... una musulmana italiana, Al Hikma, 2012

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